Alcuni
giorni fa, l’Assessore regionale alle Politiche dell'istruzione,
diritto allo studio, programmazione della formazione professionale, programmi comunitari
FSE e politiche del lavoro, Elena Donazzan, ha dichiarato che “il Veneto non è
più nelle condizioni di accogliere immigrati”.
Questo presumibilmente a fronte
della forte disoccupazione degli ultimi anni. Quindi, l’attenzione dovrebbe
essere posta sugli stranieri già presenti sul territorio ed aventi famiglia e
lavoro. Infatti, i nuovi sbarchi hanno riportato alla ribalta la questione
degli stranieri con i politici e gli amministratori che si rimpallano
la presa di decisioni e una confusione enorme sui termini adeguati da impiegare
per descrivere il fenomeno. Sempre più spesso vengono utilizzati, quasi come
sinonimi, le parole profugo, rifugiato, richiedente asilo e non da ultimo
clandestino. Sembra che tutto faccia parte di un unico grande calderone da cui
attingere ogniqualvolta si senta il bisogno di dipingere il fenomeno con le
tinte della paura o con quelle dell’assistenzialismo e del buonismo.
Ciononostante, non bisogna dimenticare gli episodi positivi, come quello del
Comune di Padova che ha accolto a Brusegana alcuni ragazzi ghanesi e ne attende
degli altri nei prossimi giorni. D’altronde, può anche capitare che la volontà
di accogliere sia subbordinata ad un’accurata scelta dell’ospite, come avvenuto
nel comune di Gallio, nell’Altopiano di Asiago, dove il sindaco ha manifestato espressamente
la preferenza per un giovane cristiano. Tuttavia, sarà necessario monitorare le
varie situazioni, affinché l’accoglienza si traduca in atti concreti e si
avviino perciò reali percorsi di inserimento.
A questo punto, sorge spontanea
una domanda e di conseguenza una riflessione. Come noi, in quanto cittadini, ci
poniamo di fronte a queste persone? Perché è da lì che tutto parte. C’è chi li
rifiuta a priori, chi si avvale di false teorie e stereotipi, chi, invece, ragiona
ancora in termini paternalistici. Da notare che anche l’uso della parola
“ospite” può celare in sé l’idea, largamente condivisa, che si stia facendo un
favore a questi individui, di essere benevolenti e quindi ci pone nella condizione
di aspettarci qualcosa in cambio, che va oltre il mero ringraziamento, e che
può spingersi perfino ad un’aderenza rigida alle condizione dettate, senza
possibilità di esprimere il proprio parere, e perciò anche di dissentire.
Tale
atteggiamento si rivela alquanto pericoloso e controproducente, poiché pone noi
e gli stranieri su due piani diversi, non paritari, inficiandone da subito la
relazione. Oggi, più che mai, c’è bisogno di umanità, di quella vera che veda
l’altro come un soggetto attivo e una risorsa. Cosi, anche le amministrazioni
pubbliche dovrebbero evitare di vedere gli stranieri solo come un costo e
cominciare ad intravedere in loro, membri di una popolazione che vogliono
vivere e partecipare.
Anna Bertolini, componente CUI.
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