mercoledì, luglio 10, 2013

NON CHIAMIAMOLI OSPITI



Alcuni giorni fa, l’Assessore regionale alle Politiche dell'istruzione, diritto allo studio, programmazione della formazione professionale, programmi comunitari FSE e politiche del lavoro, Elena Donazzan, ha dichiarato che “il Veneto non è più nelle condizioni di accogliere immigrati”. 
Questo presumibilmente a fronte della forte disoccupazione degli ultimi anni. Quindi, l’attenzione dovrebbe essere posta sugli stranieri già presenti sul territorio ed aventi famiglia e lavoro. Infatti, i nuovi sbarchi hanno riportato alla ribalta la questione degli stranieri con i politici e gli amministratori che si rimpallano la presa di decisioni e una confusione enorme sui termini adeguati da impiegare per descrivere il fenomeno. Sempre più spesso vengono utilizzati, quasi come sinonimi, le parole profugo, rifugiato, richiedente asilo e non da ultimo clandestino. Sembra che tutto faccia parte di un unico grande calderone da cui attingere ogniqualvolta si senta il bisogno di dipingere il fenomeno con le tinte della paura o con quelle dell’assistenzialismo e del buonismo. 
Ciononostante, non bisogna dimenticare gli episodi positivi, come quello del Comune di Padova che ha accolto a Brusegana alcuni ragazzi ghanesi e ne attende degli altri nei prossimi giorni. D’altronde, può anche capitare che la volontà di accogliere sia subbordinata ad un’accurata scelta dell’ospite, come avvenuto nel comune di Gallio, nell’Altopiano di Asiago, dove il sindaco ha manifestato espressamente la preferenza per un giovane cristiano. Tuttavia, sarà necessario monitorare le varie situazioni, affinché l’accoglienza si traduca in atti concreti e si avviino perciò reali percorsi di inserimento. 
A questo punto, sorge spontanea una domanda e di conseguenza una riflessione. Come noi, in quanto cittadini, ci poniamo di fronte a queste persone? Perché è da lì che tutto parte. C’è chi li rifiuta a priori, chi si avvale di false teorie e stereotipi, chi, invece, ragiona ancora in termini paternalistici. Da notare che anche l’uso della parola “ospite” può celare in sé l’idea, largamente condivisa, che si stia facendo un favore a questi individui, di essere benevolenti e quindi ci pone nella condizione di aspettarci qualcosa in cambio, che va oltre il mero ringraziamento, e che può spingersi perfino ad un’aderenza rigida alle condizione dettate, senza possibilità di esprimere il proprio parere, e perciò anche di dissentire. 
Tale atteggiamento si rivela alquanto pericoloso e controproducente, poiché pone noi e gli stranieri su due piani diversi, non paritari, inficiandone da subito la relazione. Oggi, più che mai, c’è bisogno di umanità, di quella vera che veda l’altro come un soggetto attivo e una risorsa. Cosi, anche le amministrazioni pubbliche dovrebbero evitare di vedere gli stranieri solo come un costo e cominciare ad intravedere in loro, membri di una popolazione che vogliono vivere e partecipare. 

Anna Bertolini, componente CUI.

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